L'altra settimana, al corso di Sformati e purè al Teatro 7 ho cercato di convincere i due chiassosi rimorchioni che ci provavano un po' con tutte (giuro: perfino con quelle che passavano in strada lì davanti) del mio cattivo carattere, ma non ci sono riuscita. Eppure ce l'ho messa tutta. Forse però se mi rivedessero oggi, almeno un piccolo dubbio se lo farebbero venire.
Dopo essermi rigirata per tutta la notte tra le coperte in preda a un dolore alle spalle che non mi faceva stare comoda in nessuna posizione, stamattina ho scoperto che non avevamo nulla per colazione. Il cake era finito e i biscotti cattivi del Gruppo d'Acquisto (ho sbagliato a comprarli, sono terribili) erano sepolti sotto chissà quali scatoloni. A quel punto non avevo nemmeno voglia del caffè: ho bevuto un bicchiere di latte freddo e in ufficio ho recuperato un'orrenda merendina delle macchinette. E' incredibile scoprire quanto non siano buone le merendine industriali dopo essersi abituati a fare colazione col dolcino home-made.
Tipo questo, ispirato al solito libro dei cake dolci e salati. Segnalo tra l'altro a quei due o tre che ancora non lo possedessero, che sarà in vendita insieme a Sale e Pepe di maggio in una versione ridotta.
Poi sono uscita e pioveva. E pure forte!
Meglio se vi passo la ricetta va là.
Cake caffè, nocciola e tante gocce di cioccolato
cake della colazione con nocciole e cioccolato
Ingredienti
3 uova
180 gr farina
60 gr di nocciole in polvere
125 cl di olio di riso
80 gr di zucchero
1 tazzina di espresso
1/2 bustina di lievito
un'abbondante manciata di gocce di cioccolato

Montare le uova con lo zucchero fino al raddoppio del volume. Aggiungere l'olio, la farina setacciata, le  nocciole in polvere, il caffè e amalgamare bene. Da ultimo unire il lievito e le gocce di cioccolato. Versare il composto in una teglia da cake ben imburrata (o rivestita di carta forno) e cuocere in forno già caldo a 180°C per 50 minuti.
Dice giustamente lo zio Piero, che una foto, prima di scattarla bisogna pensarla. Secondo me lo zio Piero non ha un gatto. Fare uno scatto come si deve a un piatto di pesce con una gattona affamata (è sempre affamata), è un'impresa da supereroi della fotografia. Anche senza reflex, anche senza softbox, anche senza luci speciali, che sarebbero già un bel miglioramento, visto che la sera non si può certo fotografare con la luce naturale. E per di più con alle spalle un moroso sì paziente, ma che già dalle sette ha cominciato a chiedere quando si cena.
Allora: io non ho una softbox e non ho delle luci apposite (anche non professionali). E probabilmente non avrò mai nessuna delle due cose. Un'altra cosa che non ho e non avrò probabilmente mai è la reflex, ma questo finora mi sembra il meno. Dove posso faccio le foto con la luce naturale, del sole quando c'è. E quando non c'è il sole uso la luce della cappa sopra i fornelli. Poi passo tutto pazientemente con Piknik. Perciò giassò che le mie foto non saranno mai particolarmente belle. Però finché i piatti sono buoni e ben riusciti io sono soddisfatta e ve li propino senza pietà per il vostro senso estetico.
Questa è una delle mie cene da pochi minuti, per la donna che lavora ma vuol mettere in tavola qualcosa di diverso ogni sera e per di più con un occhio anche alla bilancia. Dice infatti Cucina Moderna (dal quale questa ricetta proviene), che questo piatto apporta solo 280 kcal e siccome poi ci si alza da tavola senza l'esigenza di scofanarsi un'intera torta al cioccolato, direi che l'aspetto non è da sottovalutare.
Salmone al lime
(ricetta tratta da Cucina Moderna di aprile)
salmone al lime
Ingredienti per due persone
300 gr di filetto di salmone
3 lime
2 cucchiai di salsa di soia
3/4 cucchiai di olio e.v.o.
sale

Tagliare a cubetti il filetto di salmone e disporli su una pirofila ricoperta di carta forno. Versarvi sopra il succo di un lime, salare leggermente, cospargere con la salsa di soia e infine l'olio. Lasciar marinare per una decina di minuti e nel frattempo accendere il forno a 220°C. Cuocere in forno per 5/6 minuti. Decorare con porzioni di lime e servire con un'insalatina condita con olio e sale.
E invece no. Ne ho ordinate ancora, perciò non escludo che il periodo "torte di mele" sia destinato a durare. Anche se per fortuna ho visto in giro altre ricette di dolci che mi ispirano parecchio e che potrebbero mettere la parola fine a questo andazzo (in fondo mica sono Picasso col periodo blu).
La ricetta di questa torta viene dal mio calendario del 2010: verso i primi di quest'anno andai a fare compereo all'outlet di Fidenza e dopo pranzo portai il moroso a fare un giro per Parma, che lui non aveva mai visto. Mentre passeggiavamo per la città, stringendoci contro i muri per evitare la neve, notai il calendarietto intitolato "Torte e biscotti" in una piccola cartoleria e subito ne fui attratta. E' un calendario da muro, di quelli lunghi, pieno di disegni teneri e con le scritte che sembrano fatte a mano. Le ricette sono sia sul mese che sul retro.
Quando uscii dal negozio il commesso mi augurò Buon Anno di torte e biscotti. "Speriamo", commentai io allora. E mi verrebbe voglia di dirlo ancora, visto che sto un po' disertando i fornelli ultimamente.
Questa ricetta campeggia sulla pagina di marzo e già dai primi del mese il suo simpatico disegnino mi occhieggiava dal muro. Non avevo mai pensato a una torta di mele con il cocco onestamente, anche perché non vado matta per quest'ultimo ingrediente. Invece ammetto che nell'impasto ci sta proprio bene, non è per nulla stucchevole e ci è piaciuto parecchio (anche alla Pina!).
Torta di mele e cocco
(ricetta tratta dal calendario Torte e biscotti 2010)
mele e cocco
Ingredienti
90 gr di burro a temperatura ambiente
90 gr di zucchero
90 gr di cocco disidratato in polvere
140 gr di farina
3 uova
3 mele renette
scorza grattugiata di un limone
1/2 cucchiaino di lievito

Montare a crema il burro con lo zucchero e aggiungere i tuorli a uno a uno, tenendo da parte gli albumi. Aggiungere successivamente la scorza di limone, metà del cocco e la farina setacciata con il lievito. Amalgamare bene. Montare a neve gli albumi e aggiungerli delicatamente al composto. Versare il tutto in una tortiera (per me è stata perfetta quella da 20 cm di diametro) imburrata o rivestita di carta forno bagnata e strizzata. Tagliare le mele a fettine e disporle sopra la torta in ordine circolare. Cospargere con il cocco avanzato e cuocere in forno già caldo a 200°C per circa 45 minuti.
Sono una persona pessimista e di brutto carattere. Tendo al malumore per natura. Per di più questo è un periodo in cui mi sento a disagio in diverse cose della mia vita, per cui l'umore è ancora più tetro.
Ma quando la situazione non è delle più felici giova forse buttare uno sguardo a chi è stato ben più sfortunato di me e pure, con le proprie forze e l'aiuto di uomini (e donne!) di buona volontà ha saputo trovare la speranza.
Ogni volta che leggo il blog 99 colombe mi commuovo per il coraggio di Mara e per i risultati che ha saputo ottenere. Guardo le foto dei prodotti delle Sorelle Nurzia e mi viene una gran fame!
E magari riesco anche a pensare un po' meno a me e ai miei malumori e non è poco.
Arrivo praticamente ultima a parlare di questa iniziativa, ma in caso qualcuno non la conoscesse, consiglio di fare un giro sul blog e di leggere tutto dall'inizio: lì è spiegato molto meglio di come potrei mai fare io.
Forza Mara, forza Sorelle Nurzia, forza Abruzzo!
Non sto cucinando granché in questo periodo. Solo un po'. Sfoglio le riviste di cucina come se si trattasse di cataloghi di arte: solo per guardare. E poi faccio le solite cose, tipo uno strudel di verdura, che da quando li ho scoperti (un mese fa), sono diventati un piatto irrinunciabile di casa nostra, questo è già il quarto che rifilo al moroso e non sarà di certo l'ultimo. Del resto sembrano essere di gran moda: io avevo visto il primo su Cucina Naturale, poi su Sale e Pepe e infine su la Cucina del Corriere. Questo infatti prende ispirazione da una ricetta vista su la Cucina del Corriere di marzo, solo che poi alla fine quello che corrisponde sono solo i colori: nell'originale c'erano biete e carote, io ci ho messo quello che avevo, ovvero zucca e spinaci. Poi c'è la ricotta, che forse era stata comprata apposta per quello strudel, ma del resto chi si ricorda? Sono così smemorata che pensavo fosse una confezione nuova, invece era già aperta e chissà per cosa l'avevo usata.
Sono smemoratissima e sempre brontolona, sembro il più vecchio dei sette nani, perfino esteticamente. Mi manca solo il cappello col cappuccio, chissà se riesco a trovarne uno che fa al caso mio.
Strudel di zucca e spinaci
Strudel ricotta, spinaci e zucca
Lo dico subito, questa non sarà una vera ricetta, perché ho fatto tutto a caso.
L'unico ingrediente che posso indicare con certezza è un rotolo di pasta sfoglia (sai che sforzo). Non so quanta zucca fosse, era una piccolina e l'ho usata tutta (ma in parte era da buttare perché un po' andata). Quella l'ho lessata in acqua salata per dieci minuti. Gli spinaci boh, a crudo (e sporco) erano due manciate, poi lavati e saltati in padella con poco olio stavano in una mano sola. La ricotta potrei dire a occhio che era tra i 100 e i 150 gr. Ho schiaffato tutto nella sfoglia, avvolto bene (bene per modo di dire: c'erano di quei bozzi!) e cotto a 180°C per 25 minuti.
Mi è piaciuto molto scoprire al taglio che gli ingredienti erano rimasti ben separati, ognuno col suo allegro colore.
Uh Lise, bentornata, dove sei stata fino ad ora? Qui. Ah, e come mai non scrivevi, non hai cucinato? No. Ero di cattivo umore e non avevo nessuna voglia di mettermi ai fornelli. Non che adesso mi sia del tutto passata. Non so neanche se mi passerà mai. Ma ho ripreso a sfogliare con gusto le pubblicazioni di cucina e a mettere in pratica le ricette più facili.
La preparazione di oggi viene da Frittate, l'allegato di Cucina Moderna di aprile che onestamente puntavo fin dalle pubblicità sul numero di marzo. In effetti una frittata fantasiosa risolve una cena in pochissimo tempo e fa subito allegria. Sul libretto ho scoperto che si chiamano frittate quelle che si possono mangiare anche fredde, se invece sono buone sono calde si chiamano omelette (non che la differenza fose proprio questa, ma insomma, non sottilizziamo).
Mente sfogliavo il libretto mi sono ricordata di un barattolo di passata di pomodoro aperto da qualche giorno e che stazionava allegramente in frigorifero. Ecco allora che questa ricetta era perfetta per far fuori degnamente l'avanzo, per di più in maniera così veloce da risultare ideale per una cena durante la settimana.

Omelette al pomodoro
frittata di pomodoro
Ingredienti per due persone
4 uova
1 piccolo barattolo di passata di pomodoro (circa 150 gr)
un pizzico di zucchero
un pizzico di cumino
un pizzico di preparato aglio e peperoncino secchi
olio, sale e pepe

Accendere il forno a 180°C.
Scaldare un cucchiaio di olio in una pirofila (su un fornello) e far soffriggere il pizzico di preparato di aglio e peperoncino (se non l'avete va benissimo uno spicchio incamiciato da togliere poi e il peperoncino in polvere). Aggiungere la passata di pomodoro, lo zucchero, il cumino, il sale e il pepe e scaldare per qualche minuto. Sbattere brevemente le uova in una ciotola e aggiungerle nella pirofila dopo aver spento il fuoco.
Infornare e cuocere per 10/15 minuti o fino a quando l'omelette si sarà rappresa.
Su Sale e Pepe di marzo si racconta che il frullatore a immersione fu inventato da un designer spagnolo dell'azienda Pimer, in seguito acquisita dalla Braun: da qui il nome minipimer usato ormai comunemente per indicare l'attrezzo. Di questo designer sconosciuto io spero solo che abbia avuto una vita ricca, lunga e felice e che sia morto serenamente circondato dall'affetto dei suoi cari.
Sì perché domenica mattina mi ha risolto un problema derivante dall'impasto di una torta che ora vi andrò a raccontare. Ma partiamo dal principio.
Per domenica eravamo invitati a un brunch. Io avevo promesso di portare il pane (il pane buonissimo ai cereali con dentro i semini fatto dalla Rosetta e che infatti è stato spazzolato dai commensali in men che non si dica) e un dolce. Siccome però sono una donna profondamente disorganizzata (e sto cercando di farlo capire ai miei capi che mi vogliono spostare in Organizzazione!), il sabato me ne sono andata in giro per i fatti miei e mi sono trovata la domenica mattina con le due cose da preparare. Il fatto è che il programma della macchina del pane ci impiega 3 ore e 43 minuti, tenendo impegnata per tutto questo tempo l'unica schuko di tutta la casa, che sfortunatamente serve anche per l'impastatrice.
Niente di male, ho pensato: sceglierò un dolce che non necessita di impasto particolarmente impegnativo, così lo posso fare a mano. Mi sono messa a sfogliare tutti i miei libri di dolci mentre facevo colazione e alla fine ne ho scelto uno tratto dal libro di Donna Hay, che sembrava perfetto, perché fa amalgamare gli ingredienti liquidi tramite cottura e quelli soliti da un'altra parte per unirli poi alla fine semplicemente mescolando. E' qui che si è compiuta la tragedia: l'unione dei liquidi insieme alla farina e al lievito ha creato un disastroso impasto pieno di grumi. In quel mentre ho pensato a Trish Deseine, che nella pagina "desaster recovery" del suo libro I love torte, quando parla dei grumi di farina commenta "sappiamo entrambe che la farina non è stata setacciata". Ecco, a quel punto io avrei voluto telefonare a Trish e strillare: "Non è vero! Io la farina l'ho setacciata, ma si è raggrumata lo stesso!"
Invece, dopo un attimo di panico sono andata a recuperare il mio amico frullatore a immersione, ho frullato per bene l'impasto, eliminando la maggior parte dei grumi e realizzando un grande successo culinario di pubblico e di critica, nonché la mia torta più bella fino ad oggi.
Torta al cioccolato bianco
(ricetta di Donna Hay)
Torta al cioccolato bianco con ganache di fondente
Ingredienti
180 gr di burro a pezzetti
250 ml di latte
250 gr zucchero semolato (la ricetta ne prevedeva 340, a me sembra che sia abbastanza dolce così)
100 gr cioccolato bianco a pezzetti (la ricetta ne prevedeva 100, io non li avevo)
270 gr farina
mezza bustina di lievito
vaniglia
due uova

75 gr di cioccolato fondente e 75 cl di panna liquida per la ganache di copertura

Scaldate il forno a 180°C. Mettete il burro, il latte, lo zucchero e il cioccolato bianco in una pentola su fuoco basso e mescolate finché il composto si scioglie ed è omogeneo. Mettete in una ciotola la farina, il lievito, la vaniglia e le uova. Unite il composto al cioccolato e mescolate per amalgamare bene il tutto. Ecco, è qui che io ho usato il frullatore, non escludo che con l'uso di una normale impastatrice vada tutto a meraviglia. Versate in uno stampo rotondo (la ricetta diceva da 22 cm, io ne ho usato uno da 28 cm e vi assicuro che andava benissimo così, con uno da 22 avrei avuto paura di veder sbordare l'impasto) foderato di carta forno. Cuocete per 50 minuti. Fate raffreddare nello stampo.
Preparate una ganache sciogliendo il cioccolato nella panna a bagnomaria, fate intiepidire e ricoprite la torta ormai fredda.
Quando ho aperto questo blogghettino non mi aspettavo che succedessero anche a me le cose che vedo succedere alle foodblogger più famose, tipo le ricette inviate dai lettori (è successo, ma devo ancora farle e postarle) o che mi si chiedesse con insistenza la ricetta di qualcosa che avevo caricato su flickr.
Invece con mia grande sorpresa ben due persone mi hanno chiesto la ricetta di una torta al cioccolato, che però oggi non posterò. E' che mica posso postare solo torte (anche se mi piacerebbe mangiare solo torte), per cui prometto solennemente che la prossima ricetta sarà la torta ai due cioccolati, ma oggi no.
Oggi uno strudel, però salato.
La ricetta si è vista anche qui e nonostante io avessi la rivista, l'avessi notata e avessi comprato anche i (da me adorati) cavoletti apposta, poi è finita che me ne sono scordata e quindi devo ringraziare Alessia per averla proposta, in modo da ricordarmela e farmi decidere finalmente a farla.
La dose prevista dalla rivista è per sei persone, non occorre specificare che noi ce la siamo mangiata in due (in realtà in tre, perché ne abbiamo mangiato un terzo a testa e quello avanzato l'abbiamo tenuto per il giorno dopo), ma mi sento tranquilla perché non abbiamo mangiato nient'altro e perché la ricetta originale prevedeva un'aggiunta di scamorza sulla crosta dello strudel che io ho omesso per semplicità e per esigenze di taglio calorie (che sembra un po' come mettere il dolcificante nel caffè dopo un pranzo di dieci portate).
Un'altra modifica all'originale è che io ho usato la crescenza al posto della robiola e ci andava molto bene.
Strudel di cavolini di Bruxelles
(ricetta tratta da Sale e Pepe di febbraio, da me modificata)
Strudel di cavolini
Ingredienti

1 rotolo di pasta sfoglia
300 gr di cavoletti di Bruxelles
250 gr di patate
200 gr di crescenza
30 gr di burro
2 cucchiai di latte
sale e pepe

Lavate e pulite i cavoletti di Bruxelles. Lavate le patate e pelatele. Lessate le due verdure separatamente in acqua bollente salata e scolatele al dente. Affettate le patate e tagliate i cavoletti a metà (io li ho tenuti interi perché mi fanno simpatia). Fate sciogliere il burro in un tegame, aggiungete le verdure, salate, pepate e rosolate il tutto per 2-3 minuti.
Srotolate la pasta sfoglia.
Stemperate la robiola con il latte e unitela al composto di verdure lasciato raffreddare. Distribuite il composto sulla pasta, che richiuderete ai lati sulla farcia, e avvolgetela a rotolo, sigillando bene i bordi. Trasferite lo strudel con la sua carta da forno su una teglia, s e cuocetelo in forno caldo a 180° per 30 minuti. Servite appena tiepido.
Nella ricetta originale erano previsti anche i semi di finocchio. Io quelli li ho dimenticati!
Ho una buona notizia: ho finalmente finito le mele in frigo. Ho una cattiva notizia: le ho ordinate di nuovo e stasera vado a ritirarle. Ho una notizia così così: nella mia dispensa c'è una torta di mele buonissima, ma non l'ho fatta io.
Questa che vi presento invece sì, l'ho fatta io, ma è già finita. La ricetta viene dal numero di novembre 2008 di Sale e Pepe e ha il vantaggio di essere facilissima e anche molto profumata. Si mantiene morbida per un sacco di tempo (a meno di non scofanarla tutta ovviamente) ed è perfetta per la colazione, ma anche per una merenda, accompagnata dallo stesso the utilizzato per realizzarla. Che tra l'altro è il the che mi porto in ufficio dentro il thermos (quando mi ricordo, stamattina per esempio no), quello verde al gelsomino del Commercio Equo, buonissimo anche senza essere dolcificato.

Ciambella mele e gelsomino
(ricetta tratta da Sale e Pepe di novembre 2008)
Ciambella di mele al gelsomino
Ingredienti
300 gr di mele Pink Lady (io in realtà ho usato una grossa mela stark)
160 gr farina
150 gr zucchero
5 cl olio (io ho usato quello di riso perché il mio di oliva è troppo forte)
1 bustina di the al gelsomino
2 uova
1 bustina di lievito per dolci
burro per lo stampo

Preparate il the con un dl abbondante di acqua. Sbattete le uova con lo zucchero in una terrina, unite l'olio, il the e incorporate la farina setacciata con il lievito. Sbucciate le mele, privatele del torsolo, tagliatele a dadini e unitele al composto, mescolando bene con delicatezza. Versate tutto in uno stampo da ciambella di 20 cm di diametro ben imburrato e cuocete in forno già caldo a 180°C per un'ora. Fate intiepidire e sformate.
E pensare che prima di aprire il blog non avevo nemmeno mai fatto le polpette.
Sabato erano tutti via per il Foodies in Rome e io no. Mi è un sacco spiaciuto, ma non me la sentivo di fare un'altra levataccia e a posteriori sono stata anche contenta di essere a casa, perché la Pina non stava bene e ho dovuto portarla dal veterinario. Adesso per fortuna sta un po' meglio e penso che domani sarà perfettamente ristabilita. Devo anche dire che se non fosse perché è una situazione collegata al malessere della micina, andrei dal veterinario tutti i sabati mattina, che si incontrano delle persone simpaticissime. E poi, nonostante io dica sempre che la Pina è cattiva, mi sono resa conto che in confronto a certi altri gatti è bravissima. Cioè: è vero che la mattina mi azzanna le caviglie, ma almeno quando la porto in giro non miagola a sirena come il gattone nero di un signore incontrato il sabato mattina (giuro: una roba mai sentita).
Ah, ma questo è un blog di cucina?
E' vero, anche se ultimamente non è che sono impazzita davanti ai fornelli. Però sono particolarmente soddisfatta di un acquisto recente: Cucina Moderna serie Oro dedicato a polpette e polpettoni. Devo confessare tra l'altro che non avevo mai fatto le polpette prima di aprire questo blog (i lettori cominceranno a chiedersi cosa mangiassi prima del blog e tra un po' comincerò a chiedermelo anch'io), mentre adesso mi diverto parecchio e le trovo perfette per una cena senza pretese.
Anche perché le polpette non sono mica solo di carne, anzi, questa è la seconda volta che le faccio col formaggio.
La ricetta prevedeva l'uso di sola ricotta, ma io non ne avevo abbastanza. In compenso avevo della robiola che stava per scadere: quale miglior uso?
Polpette di ricotta e robiola con foglioline di menta
polpette di ricotta
Ingredienti per due persone
150 gr ricotta
100 gr robiola
1 rametto di menta
50 gr di parmigiano grattugiato
1 uovo
1 o 2 cucchiai di pangrattato
farina
olio
sale

Lavate le foglioline di menta e tritatele fini. Mescolatele in una ciotola con l'uovo, il pangratatto, i formaggi e il sale, fino a ottenere un composto omogeneo. Se piace potete aggiungere del peperoncino. Formate tante palline tonde della grandezza di una noce, passatele nella farina e schiacciatele al centro con il dito. Disponete le polpette sulla placca del forno coperta di carta forno, irroratele con l'olio e cuocetele in forno già caldo a 200°C per circa 15 minuti.
Io le ho servite con un'insalatina.
Quando abitavo da sola, un anno e mezzo fa, mi sembrava facessi un sacco di cose. Andavo in palestra almeno due (ma spesso tre) volte la settimana. Uscivo tutti i martedì con la mia insegnante di pilates. Mi vedevo spesso con l'amico Metroicon. Vedevo moltissime mostre. Andavo perfino a ballare e leggevo un sacco di libri.
Ora riesco ad andare in palestra solo una volta la settimana, due in rari casi, tre credo di non avercela mai fatta. Non esco più con la mia insegnante di pilates (che peccato, ci divertivamo tanto). Metroicon lo vedo pochissimo (poi va be', ora si è trasferito a Parigi, è un altro discorso), non parliamo di andare a ballare (grasse risate in sottofondo). Mostre, per fortuna quelle a cui tenevo di più sono riuscita a vederle. La cosa che mi spiace di più però è che sto leggendo pochissimo, anche se non smetto di comprare libri (prima o poi mi crollerà addosso la libreria e pace, sarà tutto finito, è stato bello, eccetera) e quello sì, mi manca parecchio, devo trovare il modo di ritagliarmi uno spazio lettura.
L'altro giorno mi sono domandata, visto che non faccio più tutte quelle cose, allora cosa faccio. E in quel momento sono stata felice di avere un blog di cucina, perché posso guardarmi indietro, rileggere l'archivio e dirmi: "Ho cucinato".
Ma non cucinato come cucinavo prima: ho fatto cose che non pensavo mai sarei stata in grado. La marmellata di zucca e il dulce de leche. La focaccia. I biscotti salati. I regali di Natale con le mie manine. I rotoli dolci e i cake salati. Le meringhe.
E le brioche, con le quali abbiamo fatto colazione sabato mattina ed è stata una delle colazioni migliori della mia vita.
brioches
Brioche della colazione secondo la ricetta del corso di lievitati della Cucina Italiana
(quanto mi son divertita al corso!)
Ingredienti
250 gr di farina forte (io ho usato la Farina d'America del Mulino Spadoni)
2 uova
75 gr di burro morbido
25 gr di latte
1 cucchiaino di malto
50 gr di zucchero
un pizzico di sale
10 gr di lievito di birra
facoltativa: marmellata (io ho usato quella di ciliegie, che adoro)

Sciogliere il lievito di birra nel latte a temperatura ambiente e successivamente aggiungervi il malto. Versare nell'impastatrice la farina, lo zucchero, il composto di latte e lievito e avviare la macchina a velocità bassa. Aggiungere gradatamente le uova e il burro a pezzettini e far andare la macchina per 20/25 minuti, fino a che il composto non si stacca dalla ciotola. A questo punto aggiungere il sale, farlo amalgamare e spegnere.
Far riposare per un'ora a temperatura ambiente, poi stendere l'impasto, piegarlo in 4 (io ho usato le pieghe classiche della sfoglia, ma onestamente non ricordo come ce l'abbia fatto piegare al corso) e far riposare in frigo per almeno 1 ora.
Terminato questo tempo stendere l'impasto a circa 2/3 mm di spessore, tagliare dei triangoli, tirare un po' le punte e arrotolarli su se stessi a forma di cornetto (a questo punto ci vorrebbe un video, io non l'ho girato, ma credo che su youtube si trovino facilmente). Se vi piacciono con la marmellata, come a me, la marmellata va posta sulla base del triangolo da arrotolare.
Se intendete congelare le brioche, come ho fatto io, questo è il momento. Altrimenti fatele lievitare al caldo per circa un'ora e mezza e infornate a 200 gradi per circa 15 minuti.
Con queste dosi ne vengono circa una ventina (piccole però: io e il moroso ne abbiamo mangiate due a testa), per questa ragione e anche per il fatto che le avevo fatte un pomeriggio, io le ho congelate, dividendole in sacchetti appositi. La sera prima di mangiarle (è stasera! è stasera!) le ho tirate fuori dal freezer e le ho lasciate scongelare sulla placca del forno spento (coperta di carta forno). La mattina dopo erano perfettamente scongelate e lievitate e le ho cotte come da ricetta per 15 minuti a 200 gradi.
E anche domani a colazione: brioche!

Attenzione: questi non sono i cornetti sfogliati. Quelli sono molto più impegnativi, li rimando a un altro pomeriggio, spero presto.
Quando c'è stato "Mi illumino di meno" ho letto diversi post su altri blog di come ridurre il più possibile il consumo di energia o, alternativamente, la propria produzione di rifiuti. E ho letto di chi si faceva lo yogurt in casa per ridurre almeno nel suo piccolo la quantità di vasetti di plastica che finiscono nella spazzatura. Ecco, lo ammetto, mi sono sentita immediatamente in colpa per l'elevata quantità di plastica che viene prodotta in casa nostra e mi sono chiesta se valesse la pena di produrre lo yogurt da me.
Nel mentre che riflettevo, al supermercato mi è cascato l'occhio sulla scatoletta di fermenti per prodursi lo yogurt, ho smesso di riflettere e l'ho infilata nel carrello.
Poi a casa ho letto le istruzioni e mi sono subito esaltata nello scoprire che potevo farlo senza la yogurtiera. Che è vero che non costa tanto ed è pure carina, ma avrebbe richiesto una soppalcatura del bancone della cucina, visto che gli spazi sono sempre più angusti a causa dell'aumento esponenziale degli elettrodomestici. E così, via con il thermos.
Lo ammetto, la prima produzione, a causa della mancanza del termometro da cucina (ma lo sto cercando), è stata disastrosa. Allora mi sono documentata in rete e ho scoperto il metodo casalingo per la misurazione della temperatura (nei commenti al post linkato). Va bene, non sarà scientifico, non sarà perfetto, ma funziona.
Ed è buonissimo.
Yogurt fatto in casa coi fermenti in bustina
yogurt home made
Ingredienti
1/2 litro di latte intero fresco
1/2 bustina di fermenti

Portare il latte a ebollizione e spegnere la fiamma. Mescolare con una forchetta più volte per togliere la panna (io la dò alla Pina, che non ha perso la lattasi e se la sbafa felice) e far raffreddare portando il latte a una temperatura di 41°C. Come si fa a sapere se è a 41°C circa? Infilate il dito nel latte e contate fino a dieci. Se riuscite a resistere fino a dieci è pronto (altrimenti aspettate ancora un po'). Versate la mezza bustina di fermenti e mescolate bene in modo che non ci siano grumi. Trasferite il composto in un thermos da mezzo litro di capienza, chiudete bene e mettete in un posto dove non ci sia bisogno di spostarlo. Attendete otto ore. Passato questo tempo lo yogurt si sarà compattato, a questo punto travasatelo in una ciotola o in un (o più) contenitore e passate in frigo. Dopo qualche ora di riposo in frigo lo yogurt è pronto.
Io lo mangio con un cucchiaino di malto d'orzo, mi piace davvero un sacco.
Va da sè che le dosi sono dovute al fatto che ho un thermos da mezzo litro di capienza. Regolatevi voi secondo la capienza del vostro thermos.
Succede vero? Succede anche a chi ha un blog di cucina, di non aver voglia di cucinare. Succede di non aver proprio voglia di far niente, in generale. Domenica, io e la Pina non avevamo voglia di far niente. Lei ha dormito tutto il giorno, che invidia. Io non avevo neanche voglia di mangiare, che fortuna, mi capitasse più spesso, figurarsi se avevo voglia di preparare.
A pranzo mi è andata bene: il moroso ha riportato mezzo pollo da casa dei suoi. Io non è che vada matta per il pollo, arrosto poi figurarsi, però l'ha mangiato quasi tutto la Pina quindi perfetto. La sera invece purtroppo no. Io stavo così bene sul divano appoggiata al petto del moroso, avevo anche chiuso gli occhi, non mi sarei più mossa da lì nei secoli dei secoli. Invece lui voleva mangiare, che disdetta. Io non avevo neanche programmato niente, quando mai.
Alla fine una carrucola psicologica mi ha sollevata dal divano, sono andata in cucina, ho aperto il frigo. Ho visto che c'erano gli spinaci puliti. Le uova e il fontal. E il contenitore di alluminio dove aveva alloggiato il pollo (no, quello non era dentro il frigo, era in giro sul bancone della cucina).
Frittata di spinaci al forno
frittata di spinaci
Ingredienti per due persone
3 uova
3 manciate di spinaci puliti
100 gr di fontal (ma meglio ancora l'emmenthal)
olio, sale e pepe

Scaldare un cucchiaio d'olio in una padella e rosolarvi brevemente gli spinaci. Sbattere le uova in una ciotola per un attimo appena, giusto per amalgamare tuorli e albumi. Aggiungere il formaggio grattugiato con la grattugia a fori grossi, salare e pepare a piacere e aggiungere gli spinaci. Versare il tutto in una pirofila e cuocere in forno a 180°C per 20 minuti.
L'ho già detto credo: compro le mele spinta da un impeto salutista che non arriva fino al momento di mangiarle. Ecco poi che le povere mele stazionano nel frigo finché il senso di colpa non va a sostiuirsi all'impeto salutista e decido di ficcarle in una torta che viene mangiata con molto più entusiasmo (benché io non ami le torte di mele). Così ieri sera mi sono messa a sfogliare un Meglio di Sale e Pepe dedicato alle torte di mele e casualmente anche il moroso guardava insieme a me (lui non si interessa mai alle mie ricette, fino al momento di mangiarle). Infatti è stato lui a sobbalzare quando ha visto il crumble di mele e pandoro, esclamando: "Il pandoro! Abbiamo ancora il pandoro aperto di là!"
Ebbene sì, all'alba di marzo abbiamo ancora una parte di pandoro, finito nel dimenticatoio perché sostituito da altri dolci della colazione preparati dalle mie sante manine, ma comunque da smaltire. E so di non essere l'unica, almeno a quanto ho letto qui da lei, sorridendo non poco.
Insomma, il tempo di sparecchiare i resti della cena ed ero già all'opera, una preparazione velocissima, tanto che alle dieci ero già davanti alla tv a vedere la nuova puntata di Castle.
Ad assaggio stamattina posso confermare che è davvero un dolce piacevole, un po' asprino per via del limone e che grazie alle mele spezza la stucchevolezza del pandoro.
Crumble di mele e pandoro
(ricetta tratta da il Meglio di Sale e Pepe)
crumble di mele con pandoro
Ingredienti
(per uno stampo da 20 cm di diametro)
2 mele di medie dimensioni
1 limone
3 cucchiai di zucchero
40 gr di burro
1 cucchiaino di cannella
1 grossa fetta di pandoro

Tagliare le mele a dadini di dimensioni uniformi. Sciogliere in una padella antiaderente il burro e rosolarvi i pezzettini di mela per un paio di minuti. Aggiungere il succo del limone, lo zucchero, la cannella e far cuocere ancora in modo che i sapori si amalgamino bene. Tagliare il pandoro in cubetti.
Versare il composto di mele in uno stampo da 20 cm di diametro ricoperto di carta da forno e ricoprire con i cubetti di pandoro. Infornare sotto il grill già caldo per un paio di minuti, fino a che il pandoro è scuro e croccante.
Nella ricetta originale consigliava di servire con panna aromatizzata alla cannella, io l'ho mangiato a colazione e non ce n'era nessun bisogno, ma effettivamente trovo che ci starebbe bene in caso di crumble servito come dessert a fine pasto, magari in stampini individuali.